Titolo originale: Subtext
Regia: Sophie Linnenbaum
Sceneggiatura: Sophie Linnenbaum, Michael Fetter Nathasky
Fotografia: Valentin Selmke
Cast: Fine Sendel, Jule Böwe, Henning Peker, Noah Tinwa, Sira-Anna Faal, Denise M’Baye, Pa-squale Aleardi, Noah Bailey, Benita Sarah Bailey, Paul Michael Stiehler, Christian Steyer, Birgit Ber-thold
Durata: 124’
Origine: Germania
Anno: 2022
Piattaforma: Apple TV

In un futuro distopico, la società, l’Istituto, è organizzata come degli Studios di cinema, ha suddiviso rigidamente le persone in caste: personaggi principali, secondari e gli out take ovvero gli errori e i personaggi tagliati che sono esclusi. La giovane Paola, figlia di un personaggio principale e una comparsa, crede il padre morto in una rivolta e, nel cercare informazioni su di lui per il monologo finale della Scuola grazie alla quale può diventare protagonista, scoprirà nuove e scomode verità anche su sé stessa.

Il film, presentato in anteprima mondiale al concorso Globo di Cristallo del 56° Festival di Karlovy Vary, è il primo lungometraggio della regista tedesca Sophie Linnenbaum. L’autrice gioca molto sui dialoghi basati sul linguaggio cinematografico (ad esempio “non faccio parte della tua trama”) per delineare una personale prospettiva sulla società, priva di autenticità emotiva, in cui ci si può muovere solo sulla base di un copione dato da altri.
Un’opera originale che riesce a far riflettere sul continuo mostrare con video-foto legami-emozioni e aspetti della vita mistificando così la realtà, soprattutto quella emotiva. Concetto già in parte espresso nel suo cortometraggio Pix dove, delle foto create ad hoc, raccontano il ciclo di vita dei protagonisti facendo smarrire il senso tra ciò che è costruito per rappresentare e lo scatto, tratto da una scena di vita reale e significativa (nascita, matrimonio, morte).  Il film è ben girato e nei dialoghi strizza l’occhio allo spettatore cinefilo per lasciarlo smarrito proprio come i protagonisti prima dei titoli di coda a vagare in uno scenario surreale, a domandarsi se quella realtà di finzione sia realmente conclusa. Questa visione dialoga con il concettuale La Bête di Bonello, presentato all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia o con il catastrofico Don’t Look Up di Adam McKay (2021) e, prima ancora, con Happy end di Haneke, solo per citarne alcuni, e si inserisce in un filone ben preciso di meta-cinema che si interroga sulla modernità; Linnembaum lo fa usando addirittura il film stesso come realtà parallela, distopica all’ennesima potenzam riuscendo anche ad emozionare.

Maria Antonietta Vitiello

Voto: ★★★