Regia: Nora Fingscheidt

Soggetto: ispirato a The Outrun (Nelle isole estreme, Guanda, 2017), autobiografia di Amy Liptrot

Sceneggiatura: Amy Liptrot, Nora Fingscheidt, Daisy Lewis

Genere: Drammatico

Cast: Saoirse Ronan, Paapa Essiedu, Nabil Elouhabi, Saskia Reeves

Durata: 118 min

Origine: Regno Unito, Germania

Anno: 2024

Piattaforma: Prime Video

Rona ha ventinove anni e un master in biologia. Disoccupata, vive a Londra con la madre, ma spesso ritorna sull’isola delle Orcadi dove è cresciuta e dove vive ancora suo padre, per aiutarlo nei lavori della fattoria. Prigioniera di una dipendenza dall’alcol da una decina d’anni, quando perde completamente il controllo della sua vita e l’amore del suo ragazzo, aderisce a un programma finalizzato all’astinenza presso un centro di recupero. Alla fine del periodo previsto, portato a termine tra vari alti e bassi, si trasferisce a Papay, una tra le più piccole delle Orcadi. Ed è qui, in una minuscola casa isolata, che per lei avviene il vero processo di guarigione. Mentre si dedica al censimento degli uccelli presenti sull’isola per una società che protegge la fauna avicola, il contatto con la natura le consente di mantenere e rinsaldare l’ormai raggiunta sobrietà e di individuare la direzione da dare alla sua vita.

Il titolo del film è quello del libro che l’ha ispirato, l’autobiografia di Amy Liptrot, nella quale the outrun è un campo che si estende oltre le case e le terre coltivate dai genitori dell’autrice, fino alle scogliere, e dove gli animali da allevamento e quelli selvatici vivono insieme. Il sottotitolo invece fa venire in mente Nelle terre estreme, il libro di Jon Krakauer da cui Sean Penn nel 2007 ha tratto Into the wild: i due protagonisti, e anche le loro storie, sono completamente diversi, ma accomunati dalla ricerca di una natura remota e selvaggia.

Una bambina cammina pensierosa in riva al mare, su un tappeto di alghe lasciate dalla burrasca, mentre una voce fuoricampo racconta una leggenda sulle foche: nelle Orcadi, le persone che annegano si trasformano in foche, e di notte sgusciano via dal loro manto per ballare in sembianze umane sotto la luna piena. La voce narrante accenna ad altre storie: un serpente gigantesco che avvolge il mondo nelle sue spire, una ragazza rapita da un uomo-pesce, le onde che rimangono intrappolate nelle grotte. È un immaginario che ha il gusto forte del mare e delle alghe, i magici colori dei fondali oceanici e quella dimensione fiabesca che unisce esseri umani e creature fatate. La vita immersa in una natura di una bellezza potente, in una solitudine voluta e consapevole, con l’aiuto di un’immaginazione che ha radici profonde in una terra intrinsecamente marina, è la chiave della rinascita di Rona.

Per ristabilire il suo equilibrio interiore in un mondo adulto spesso svuotato di senso, Rona recupera la creatività e la fantasia della bambina che è stata, ricomponendo dentro di sé la paura e la vulnerabilità dell’infanzia e superando la solitudine peggiore: quella che talvolta si prova quando si è in coppia, in famiglia o in gruppo. Riconoscere e praticare la solitudine ‘buona’, quella che tiene sotto controllo l’impulso a stare con gli altri in modo meccanico e ansioso, soltanto per colmare un vuoto o una sofferenza che si ha paura di affrontare, equivale, per Rona, a spezzare il circolo vizioso dell’alcolista, che induce a cercare sollievo dagli stati d’animo negativi e dai problemi ricorrendo a una sostanza che ne genererà altri.

Nella solitudine possono esserci momenti dolorosi, nei quali i ricordi lasciati liberi di affiorare in superficie, senza gli argini della presenza e del confronto più o meno autentico con l’altro o gli altri, rievocano le stesse sensazioni di un tempo: tutto sembra rimandare a qualcosa di già vissuto, si procede per associazioni di pensiero come in una seduta psicanalitica spontanea e si rivive la sofferenza provata in passato. Quando le emozioni dissonanti prevalgono, le mani di Rona sembrano volersi aggrappare alla terra, stringendo convulsamente tra le dita la sabbia, in un vortice di paura-disperazione-tenacia. Ma nella solitudine ci sono anche momenti perfetti, nei quali quello stesso passato si ricompone e rivela il suo senso profondo, come nell’orchestra immaginaria che Rona dirige nei suoi vagabondaggi sull’isola: le onde che s’infrangono sulle scogliere, la vegetazione attraversata dal vento, i versi delle foche e degli uccelli producono una musica riparatrice, nella quale ogni strumento suona il suo spartito. E l’armonia che ne deriva è lo specchio di un equilibrio interiore perduto e ritrovato.

Dopo aver toccato il fondo ed essere risalita in superficie, Rona ricomincia a vivere da dove era rimasta. La guarigione passa per la riconciliazione con il passato, in particolare con sua madre, che aveva preferito rifugiarsi nella fede religiosa invece di affrontare le difficoltà del suo matrimonio. Passa anche per un nuovo interesse nei confronti del mondo che la circonda e con la voglia di farne parte: le alghe sono un cibo del futuro perché ecosostenibili, e lei vuole studiarle, cambiando il suo master per integrarlo con i suoi nuovi interessi. E passa per la condivisione con altri che hanno vissuto esperienze analoghe alla sua e le indicano la via da seguire. ‘Poi diventa meno dura?’ domanda Rona a uno dei rari abitanti dell’isola, che ha come lei un passato di dipendenza. La risposta che ottiene è che non diventa mai facile, diventa solo meno difficile. E l’unico metodo che funziona è affrontare i giorni uno alla volta.

Il racconto della dipendenza è probabilmente la parte meno riuscita del film: il continuo ricorso al flashback è la cifra stilistica adottata per rendere il passare dei giorni, confusi e indistinguibili, ma chi guarda si ritrova a cercare dei punti di riferimento, per esempio nel colore dei capelli di Rona, rosa shocking o turchese nei devastanti anni londinesi, con una leggera sfumatura azzurra sulle punte nelle fasi transitorie, biondo chiaro o fulvo sull’isola. Difficile anche, per la regia, diversificarsi stilisticamente dai tanti film sul tema dell’alcolismo: Nora Fingscheidt riesce a farlo quando si concentra sui suoni, sulla luce e sui colori di un paesaggio poetico che diventa parte integrante della narrazione.

L’interpretazione di Soairse Ronan, che è anche producer del film, è sorprendente per efficacia, intensità e immedesimazione. Nei suoi diciassette anni di una carriera iniziata molto presto, l’attrice irlandese, che oggi ha trentun anni, ha recitato in ruoli significativi, dando ai suoi personaggi un’impronta indimenticabile. Salpando dalle due adolescenti di Amabili resti e di Espiazione, navigando a suo agio sia nei panni della giovane donna innamorata in Ammonite – Sopra un’onda del mare, sia in quelli della ragazza difficile in Lady Bird, approda, ma soltanto per ora, a questa magnifica Rona, una trentenne come lei nella realtà, credibile dal primo momento all’ultimo, ma soprattutto nella vita sull’isola, dove sembra immergersi completamente nella parte al di là di ogni finzione cinematografica, respirando all’unisono con il suo personaggio e con l’ambiente naturale.

Voto: ★★★

Lucia Corradini