Regia: R.J. Cutler
Genere: Documentario
Con: Martha Stewart
Origine: USA
Anno: 2024
Durata: 1h53min
Piattaforma: Netflix
Nata nel New Jersey nel 1941, Martha Stewart ha ereditato dal padre l’amore per il giardinaggio e dalla madre quello per la cucina. Laureata in architettura al Barnard College di New York, ha iniziato a lavorare come modella per aiutare la famiglia, poi è diventata agente di cambio, e dopo ancora, negli anni Ottanta, ha avviato una società di catering. Nella sua vita, la svolta è avvenuta quando ha cominciato a fare della sua passione per la casa una professione a tutti gli effetti: nel giro di pochi anni ha pubblicato libri, fondato riviste e animato programmi televisivi che si occupavano della decorazione di interni, dell’arte di apparecchiare la tavola, di cucina, di giardinaggio, del fai-da-te, di come si organizza un matrimonio e altro ancora. Dalla prima rivista, Living, alla quotazione in borsa della sua azienda, il passo è stato più breve di quel che si potrebbe pensare. All’apice del successo imprenditoriale, nel 2001, due vicende giudiziarie, un processo e la detenzione di alcuni mesi seguita dagli arresti domiciliari, sembravano aver decretato il suo declino. Ma non è da lei abbattersi, e già nel 2005 è tornata in scena con un programma televisivo e nuove iniziative. Ancora oggi, a più di ottant’anni, dopo aver ufficialmente chiuso la sua storica rivista per passare ai siti web e alle pagine social, non sembra intenzionata a fermarsi.
La vita di Martha Stewart si presta a svariate etichette: l’incarnazione vivente del sogno americano, la prima donna miliardaria che si è fatta da sé, la capostipite delle influencer. Quest’ultima è forse la più interessante alla luce della realtà attuale: Martha è stata la prima a cogliere la vendibilità della propria vita personale e a credere nella possibilità di influenzare i comportamenti e le scelte dei consumatori con il proprio esempio e la propria competenza. Di fatto, Martha ha ampliato e, a suo modo, nobilitato quella materia che nella prima metà del Novecento si studiava a scuola sotto il nome di ‘economia domestica’, costruendoci sopra una solida attività imprenditoriale e spacciandola per un sapersi riappropriare dei valori più tipicamente femminili. Ma sotto il tulle delle bomboniere o la glassa dei biscotti speziati, sicuramente fatta a regola d’arte e spiegata con chiarezza e precisione perché fosse replicabile, c’era soltanto il modello vuoto di una femminilità fraintesa.
Negli anni Novanta, quando la sua fama di massima esperta di lifestyle e arte del ricevere travalica gli Stati Uniti, il mito di Martha Stewart arriva anche in Italia, e chi lavora nell’ambito del design, della pubblicità, della cucina o del wedding planning si sente chiedere dai clienti un allestimento, una cena o un matrimonio in stile Martha Stewart. In Italia i suoi libri non vengono tradotti e pubblicati prima degli anni Duemila, quindi per conoscerla e volerla imitare bisogna cavarsela bene con l’inglese e stare al passo con le nuove tendenze culturali. Il suo successo non dilaga da noi come negli Stati Uniti, ma i suoi consigli, soprattutto di cucina e fai-da-te, sono apprezzati per la precisione e la cura dei dettagli anche da un pubblico italiano particolarmente curioso e versatile. Lungi dall’essere una Donna Letizia o una Lina Sotis, Martha Stewart non si è mai posta come la regina del bon ton: semmai sono stati gli altri ad attribuirle erroneamente questa pretesa. Al centro dei suoi interessi c’è sempre stata la Perfezione, intesa come raggiungibile, secondo lei, in qualsiasi ambito e da chiunque, a patto di impegnarsi a fondo. Ma quanto c’è di realistico e quanto invece di ambiguamente illusorio in questa sua missione di vita, portare la Perfezione alle masse?
Nel film, che è sostanzialmente una lunga intervista della quale immaginiamo le domande ma ascoltiamo soltanto le risposte, la vediamo nella cornice della sua casa, ovviamente perfetta, mentre racconta con lo stesso tono gli anni dei suoi successi planetari che sembravano inarrestabili e quelli del declino quasi improvviso, fino ad arrivare a tempi più recenti. Per il suo ritorno, dopo le disavventure giudiziarie, Martha ha puntato sulla collaborazione con il rapper Snoop Dogg, solo apparentemente lontano dal suo mondo, in realtà invece funzionale alla sua esigenza di stupire a tutti i costi, non importa in quale direzione, per recuperare rapidamente terreno: e cercando online, si scopre che questo impagabile e amatissimo duo insegna anche a preparare dolcetti alla cannabis per cani, e che nel loro show, Martha & Snoop’s Potluck Dinner Party, in onda ormai dal 2016, i due giocano a indovinare, con tanto di palette per votare, se il nome assurdo che si legge su uno schermo alle loro spalle appartiene a un cane o a una varietà di marijuana, addobbano da alberi di Natale gli ospiti che si prestano alla farsa, o cucinano pizze con le loro facce. Il trash ha dunque soppiantato la presunta eleganza, ma bisogna fare di necessità virtù, e nel documentario ne è una prova la raffica di battute e giochi di parole grossolani che Martha pronuncia con la massima naturalezza, in occasione del suo incontro televisivo con Justin Bieber, suscitando l’ilarità di un pubblico eterogeneo che probabilmente la considera, secondo i casi, divertente o ridicola.
Voci fuori campo, appartenenti ad amici, colleghi, o a uno dei fratelli, unitamente a filmati delle varie epoche, completano il suo ritratto: dietro l’immagine della bella ragazza bionda di una volta che, nel film, regge il piatto con l’ineccepibile tacchino in crosta, si nasconde (ma in realtà neanche tanto) una donna studiata, autoritaria e, spesso, dalle maniere niente affatto gentili, che, giunta all’ultima fase della sua vita, dichiara senza il benché minimo imbarazzo di non aver mai avuto relazioni in cui entrassero in gioco i sentimenti e di aver considerato il periodo in carcere una specie di vacanza sui generis, in cui ottimizzava il tempo insegnando alle altre detenute il suo sapere domestico.
A Martha il film di Netflix non è piaciuto. Si è lamentata perché R. J. Cutler, il regista di alcuni tra i documentari più acclamati degli ultimi trent’anni, tra cui Belushi, il primo documentario autorizzato su John Belushi, e Billie Eilish: The World’s a Little Blurry, ha dato troppo spazio alle sue vicende legali, e anche perché l’ha ripresa scegliendo una luce o una prospettiva che la fanno apparire vecchia, in particolare quando cammina zoppicando in giardino. Se sulla prima critica si può darle parzialmente ragione, perché in effetti non è poi così interessante vederla entrare e uscire ripetutamente dal tribunale facendosi strada in mezzo alla folla di giornalisti e fotografi, sulla seconda si può fare un genere di riflessione diverso. Martha Stewart è oggi un’anziana signora che porta molto bene i suoi anni, ma quello che la penalizza nel film a lei dedicato non è tanto l’angolazione sbagliata, quanto invece il suo atteggiamento contegnoso, il suo sguardo sprezzante, il suo linguaggio volgare e i suoi gelidi commenti malevoli, come quando ringrazia il Cielo per la morte di una reporter che aveva seguito in modo secondo lei insoddisfacente il suo processo. E stando così le cose, non c’è angolazione che tenga.
Voto: ★★ e 1/2
Lucia Corradini