Regia: Emerald Fennell
Soggetto: Emerald Fennell
Sceneggiatura: Emerald Fennell
Fotografia: Linus Sandgren
Genere: drammatico, thriller
Cast: Barry Keoghan, Jacob Elordi, Rosamund Pike
Durata: 131’
Origine: Regno Unito, USA
Anno: 2023
Piattaforma: Amazon Prime Video
All’Università di Oxford, Oliver è uno sconosciuto. Timido e schivo, di origini umili, è però attratto da Felix un ragazzo pieno di fascino e carisma e, per di più, rampollo di una famiglia aristocratica: la sua perfetta antitesi. Tuttavia, in un momento in cui questi si trova in difficoltà, Oliver non esita ad avvicinarlo, prestandogli aiuto. Felix gli è riconoscente e, nella profonda intesa che presto nasce tra i due, lo invita a trascorrere l’estate con lui, nella tenuta famigliare di Saltburn: un luogo che sembra capace di cambiare Oliver, o di rivelarne la vera natura…
Forte del successo ai Premi Oscar del 2021 con Una donna promettente — per la miglior sceneggiatura originale —, alla sua seconda prova, la regista e sceneggiatrice Emerald Fennell alza la posta in gioco, mirando a un cinema d’autrice in grado di indagare la complessità della natura umana, nascosta, nel suo esordio, all’interno di caratterizzazioni tipicamente hollywoodiane. E, nei primi minuti, Saltburn sembra fare centro: la macchina da presa si stacca di rado dai volti di Oliver e Felix, cogliendo con rara finezza la tensione erotica latente che vi intercorre, lasciata nel “non detto”, ma mostrata; e rivela in loro una notevole profondità psicologica, a cui è funzionale anche l’ottima scelta dei due attori, diretti con tatto. Keoghan è più che spaesato e “diverso”, è alieno e impenetrabile, come ne Il sacrificio del cervo sacro di Lanthimos, ed Elordi è conturbante quasi quanto Terence Stamp in Teorema di Pasolini — che non può non venire in mente quando si parla di ospiti “ingombranti”, benché, in questo caso, sia il personaggio interpretato da Keoghan a essere ospitato. La Fennell, dunque, osservando in modo penetrante i suoi attori, dimostra che il cinema è soprattutto sguardo e, su un piano più concreto, dà nuova vita a una vicenda e a un sistema di relazioni che, altrimenti, resterebbero inscritti in un cliché ormai stanco.
È un peccato, però, che l’arrivo di Oliver nella tenuta di Saltburn, invece di costituire il momento clou del film, coincida con un ridimensionamento dell’ispirazione che finora lo ha sostenuto. In primo luogo, la tensione tra i protagonisti, che sembrava essere il fulcro della vicenda, passa in secondo piano per lasciare spazio alla famiglia di Felix e ai suoi altri ospiti, descritti con tratti pittoreschi, che scadono spesso nella banalità. Che i nobili e i ricchi vivano isolati in una realtà parallela, si comportino in modo eccentrico e abbiano pregiudizi ipocriti verso la gente comune, è uno stereotipo che poteva essere evitato.
Nemmeno l’ottima interpretazione di Rosamund Pike, nei panni della madre di Felix, riesce a conferire al personaggio una sufficiente statura psicologica, ostacolata da una scrittura ora infelice. E, sorprendentemente, l’occhio della Fennell diventa miope: avrebbe potuto indagare il cambiamento di Oliver osservando con umiltà e costanza, come nel prologo, senza dimostrare o spiegare nulla. Così, avrebbe instillato nello spettatore un dubbio autentico circa la natura del protagonista. Preferisce mostrarlo, invece, mentre si lascia andare ad atti di perversione estrema — e la cinepresa vi indugia più del necessario —, tanto lontani dall’idea di ragazzo dimesso e timido che fino a un attimo prima si aveva di lui, da evidenziare gli aspetti più grossolani della sceneggiatura, volti soprattutto a stupire gli spettatori, piuttosto che a cavare nell’ambiguità di Oliver. Perlomeno, la costruzione dell’intrigo mantiene alto l’interesse del pubblico con alcuni colpi di scena spiazzanti e ben posizionati — come già accadeva in Una donna promettente —, pur presentando diverse inverosimiglianze e forzature al limite del surreale.
Splendida invece la fotografia di Linus Sandgren, che sfrutta con intelligenza fonti luminose naturali e luci d’ambiente e ne trae la massima forza espressiva, senza scadere mai nell’artefatto. La tenuta di Saltburn, in tal modo, è proiettata in una dimensione pittorica — complice anche la scelta del desueto formato 1,33:1 —, che ne esalta i tratti aristocratici e può, per quanto è possibile, distrarre dalle mancanze della regia e della sceneggiatura.
Riccardo Papillo
Voto: ★★★