Titolo originale:  Wann wird es endlich wieder so, wie es nie war

Soggetto:  Joachim Meyerhoff

Regia:  Sonja Heiss

SceneggiaturaSonja Heiss, Lars Hubrich, Joachim Meyerhoff

Cast:  Arsseni Bultmann (Joachim Meyerhoff, 14 anni), Laura Tonke (Iris Meyerhoff), Devid Striesow (Richard Meyerhoff), Pola Geiger (Marlene, 14), Camille Loup Moltzen (Joachim Meyerhoff, 7 anni), Casper von Bülow (Philipp Meyerhoff, 18 anni), Merlino Rosa (Joachim Meyerhoff, 25). Oltre agli attori professionisti, nei ruoli di contorno all’interno della clinica, un gruppo di pazienti psichiatrici selezionati attraverso il Thikwa Theater in Berlin-Kreuzberg.

Durata:  110 min

Origine:  Germania

Anno:  2023

Piattaforma:  RaiPlay

Tratto dall’omonima autobiografia dello scrittore tedesco contemporaneo Joachim Meyerhoff, il film diretto da Sonja Heiss percorre il misterioso crinale che separa normalità e follia, razionalità e libero fluire di emozioni allo stato puro attraverso lo sguardo del protagonista (Joachim detto Josse), nella sua trasformazione da bambino a giovane uomo, valorizzando nelle sue massime potenzialità la comunicazione non (esclusivamente) verbale e riscattando il valore del silenzio. Il contesto singolare dove il protagonista cresce, ossia la grande casa immersa nella cornice di un parco e dell’area dell’ospedale psichiatrico per bambini e adolescenti diretto da suo padre, è il discreto e più originale co-protagonista della vicenda narrata.

Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato, edito nel 2015, si è rivelato un vero e proprio caso letterario (vincitore del Premio Bottari Lattes Grinzane – sezione Il Germoglio) come spesso accade quando il contenuto narrato è tratto dall’intreccio imprevedibile dell’esistenza, tessuto in maniera sorprendentemente artistica dalla vita vissuta. Selezionato come film d’apertura per la sezione Generation della 73ma edizione della Berlinale, il film omonimo, realizzato nel 2023 dall’emergente regista tedesca Sonja Heiss, si muove fra le corde del genere drammatico e della commedia e mostra una forte coerenza nell’impianto narrativo e soprattutto nel dosaggio misurato della componente verbale: si tratta di un film che vuole forse più lasciarsi guardare – che non ascoltare – dallo spettatore, mettendo quest’ultimo in contatto diretto con gli sguardi eloquenti del protagonista e di altri personaggi. È una pellicola che entra in punta di piedi nelle vite degli altri, che ci fa interrogare sul senso stesso dell’alterità e dell’identità, che preferisce arretrare e osservare rispetto a categorizzare e proclamare giudizi.

Ci racconta la storia di Josse (scandita fra infanzia dal 1974, adolescenza dal 1983 ed età adulta dal 1996) e della sua famiglia, composta dai genitori Richard (completamente assorbito dalla sua professione di direttore della clinica ma profondamente affezionato ai figli e anche alla moglie nonostante una relazione extraconiugale con la segretaria) e Iris (mamma a tempo pieno che ogni tanto rimpiange i suoi soggiorni in Italia e un vecchio amico italiano), dai fratelli Philipp e Patrick (quasi sempre complici nel prendersi gioco del protagonista), dall’affezionatissimo cane, ma anche in certa misura dalle persone che vivono una frequentazione assidua con loro, ossia i pazienti della clinica sull’Hesterberg.

Tutta la famiglia sembra aver interiorizzato la capacità di distacco dalle passioni che contraddistingue lo psichiatra, a eccezione del piccolo Josse che ogni tanto esplode in crisi di nervi per placare le quali l’unico rimedio sembra essere quello di farlo sedere su una lavatrice agitata dalla centrifuga e farlo cantare. Ma a poco a poco, con il passare del tempo, assistiamo allo sgretolarsi di quella sorta di deformazione professionale che ha indotto genitori e figli a un’eccessiva razionalizzazione verso qualunque cosa, e allora l’incandescente sfera dell’Es preme fino a far scoppiare le pareti di un’apparente tranquillità domestica. È l’inevitabile prezzo da pagare per il coraggioso esperimento di vita che Richard Meyerhoff ha compiuto, cioè sconfinare in una specie di pericolosa fusione fra vita privata e professionale, fra famigliari e pazienti, in nome da un lato di una psichiatria moderna favorevole alla libertà, agli spazi aperti, a una molteplicità di approcci terapeutici che oltrepassassero le barriere della psichiatria contenitiva, e dall’altro di qualcosa di più alto, di un suo personale Ideale che va oltre la consueta distinzione fra normalità e anomalia.

Fra drammi di non poca entità come il primo innamoramento adolescenziale per una ragazzina che una volta tornata a casa sua si suiciderà e la morte per incidente d’auto del fratello Philipp mentre lui si trova in America per uno scambio culturale, Josse esplora il mondo intorno a sé, una realtà in cui saggiamente la regista ha scelto di lasciare sullo sfondo le figure dei pazienti e delle loro simpatiche stravaganze. La macchina da presa guarda infatti con pazienza e meraviglia quei soggetti un po’ bizzarri invitandoci a fare altrettanto, mantenendo una rispettosa distanza e un’apertura all’ascolto di quanto spontaneamente permettono di cogliere di sé. La colonna sonora con brani a sorpresa illumina d’un tratto situazioni di per sé molto cupe e trasforma istantaneamente l’atmosfera alleggerendola in maniera imprevista.

E alla fine ritornano in mente le immagini d’apertura, le spensierate immersioni in mare di Josse bambino e le sue capovolte in tutte le direzioni possibili nell’anarchica libertà  – forse non così distante dal vero  –  di un mondo sottosopra.

Voto: ★★★

Jleana Cervai