Il Bergamo Film Meeting arrivato alla sua quarantesima edizione dimostra un’idea di cinema teso prima di tutto all’impegno sociale e politico. Nato nel 1983 come un festival rivolto a far conoscere i talenti mondiali emergenti, nel tempo ha fatto delle retrospettive la sua forza e la sua peculiarità, con uno sguardo attento al futuro con gli emergenti, al passato con le rassegne e al presente nella testimonianza e nella ricerca che i giovani autori dedicano oggi alla reinvenzione del reale. Quest’anno è stata dedicata un’ampia rassegna a Costantin Costa Gavras con il regista presente per i primi giorni del festival; ciò ha permesso diversi spazi di confronto sulla sua filmografia sia con la stampa che con il pubblico. Un cinema impegnato dunque e lo dimostra bene la personale di Danis Tanović nella sezione del cinema europeo contemporaneo e i film in concorso, ciascuno per aspetti diversi; saranno approfonditi i premiati e segnalati altri due film per la loro rilevanza a carattere sociale.

Danis Tanović (Bosnia Erzegovina), regista, sceneggiatore e produttore. Nasce nel 1969 a Zenica in Bosnia- Erzegovina, a Sarajevo si diploma al Conservatorio, nel 1992, in seguito allo scoppio del conflitto, è costretto ad abbandonare gli studi all’Accademia di Regia a Sarajevo. Inizia a filmare gli orrori della guerra e diventa reporter per l’esercito bosniaco, raccogliendo una grande quantità di materiale documentario, immagini utilizzate anche dalle commissioni di inchiesta sui crimini di guerra. Nel 1994, Tanović lascia per due anni Sarajevo e si trasferisce a Bruxelles, dove completa gli studi e realizza alcuni documentari, tra i quali L’aube (Dawn, 1996) e Buđenje (Awakening, 1999).

No Man’s Land (2001)

Il conflitto serbo-bosniaco è al centro del suo primo film, No Man’s Land – Terra di nessuno (No Man’s Land, 2001) per cui ha composto anche la colonna sonora. Il film ha vinto numerosi premi internazionali tra cui quello per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes, il Golden Globe e l’Oscar come miglior film straniero 2002.

Nel 1993, durante la guerra di Bosnia, due soldati, Ciki e Nino, uno bosniaco e l’altro serbo, si trovano isolati tra le due linee nemiche, nella cosiddetta ‘terra di nessuno’; con loro Tzera che si risveglia sopra una mina. Cercano disperatamente aiuto rischiando più volte la vita su entrambi i fronti, alla fine un casco blu francese cerca di prestare loro soccorso senza l’autorizzazione del proprio superiore. Una giovane giornalista si interessa alla vicenda e in poco tempo i media ne fanno un atroce spettacolo mediatico internazionale. Alla fine tutti avranno il loro ritorno di amara celebrità a spese di chi, poi alla fine, doveva essere aiutato e salvato e invece, passato il momento, è stato lasciato lì in attesa dell’inevitabile.

Il film ha il grande merito di utilizzare un linguaggio ironico e beffardo che, se da un lato stempera, dall’altro esacerba il paradosso costante in cui si trovano i protagonisti. Inoltre riesce a dare diversi spaccati della guerra approfondendoli tutti. I due protagonisti sono all’interno di una terra di nessuno come grande metafora di un popolo che si è trovato immerso, suo malgrado in un conflitto fratricida e dove l’attenzione europea come ONU e dei media invece di agevolare una tregua e vigilare sulle ingiustizie, è volta solo al proprio tornaconto. Un film che rimane, insieme a Cirkus Columbia anche se in misura minore, insuperato nella filmografia del regista.

L’enfer (2005)
Seconda parte di una trilogia che comprende Paradiso e Purgatorio scritta da Krzystof Kieślowski e ultimata da Krzysztof Piesiewicz. Rivisitazione della Medea di Euripide, è la storia di tre sorelle Céline, Sophie e Anne, che bambine assistono, senza comprendere, ad un esacerbarsi dei rapporti tra i genitori fino al dramma familiare che ha portato all’invalidità della madre e alla morte del padre. Diventate adulte, gravate da quell’evento che ha compromesso le loro esistenze, vivono le loro vite senza molti contatti tra di loro. L’incontro di Celine con uno sconosciuto che la cerca insistentemente chiarirà e aprirà ad una lettura diversa quell’evento che aveva segnato il loro passato. Questo permetterà loro di ritrovarsi e dare voce ai loro sentimenti che, tuttavia, non troveranno l’accoglienza materna che forse speravano per una definitiva elaborazione di quanto accaduto.
Il film denota un buon esercizio stilistico con inquadrature che esprimono un senso di tensione e angoscia all’interno delle mura domestiche e una recitazione impeccabile delle protagoniste Emmanuelle Béart, Karin Viard, Marie Gillain, Carole Bouquet e Jean Rochefort. Un thriller psicologico di chiara ispirazione hitchcockiana alterna scenari sulle tonalità del rosso nel segnalare la rabbia e la distruttività ai colori freddi e patinati, simboleggianti un congelamento emotivo e mortifero. Universi emotivi segnati da adulti che non lasciano spazio ad una vera comunicazione che porti a dei chiarimenti e che lasciano inermi e impotenti i bambini prigionieri di una protezione finta, muta e desolante. Nonostante tutte queste buone premesse, il film è così attento a rimarcare le dinamiche psicologiche ed emotive dei protagonisti che si perde molto nel ritmo narrativo.

Triage (2009)

Il film debutta in concorso al Festival di Roma, con Colin Farrel, Paz Vega e Christopher Lee: è la storia di Marc, un fotoreporter irlandese che, tornato in circostanze poco chiare dal Kurdistan, inizia ad accusare una serie di sintomi psicosomatici importanti tra cui l’impossibilità nell’uso delle gambe. Il suocero, esperto nella cura psicologica dei criminali di guerra, lo aiuterà a narrare una verità fino a quel momento impensabile e indicibile sulla morte di un suo collega e amico misteriosamente disperso.
I produttori Sidney Pollack e Antony Minghella affidano a Tanović’ la regia di questo film tratto dal romanzo omonimo di Scott Anderson. Se nello stile siamo vicini all’Enfer in una produzione però americana, le tematiche sono quelle di No man’s land. Anche in questo film, infatti, come nel precedente, le inquadrature segnalano bene l’evoluzione psicologica del protagonista con un montaggio che alterna passato e presente portando lo spettatore al disvelamento progressivo delle origini del trauma del protagonista. Il film denuncia come in No man’s land sia le guerre che la sete dei media di accaparrarsi l’immagine che possa far uscire dall’anonimato e portare fama, soldi e prestigio, quasi a costo di tutto: l’amicizia o il pudore verso chi ha subito un lutto tragico. Si segnala, anche in questo film, la grande competenza nella narrazione del contesto bellico: ad esempio nel mostrare come ad un medico sia affidata la sorte di un ferito a cui possono essere garantite le cure o una fine rapida. Il paradosso di una onnipotenza assegnata e senza condanna a cui va anche il possibile merito di una solidarietà umana nell’ assicurare una minore sofferenza a uomini senza speranza di guarigione, ammazzati come bestie con un colpo di pistola. Il protagonista si ritroverà involontariamente, in tale ottica, a dover seppellire i morti per poter sopravvivere.

Cirkus Columbia (2010)

Presentato alle Giornate degli Autori a Venezia e vincitore al Festival di Antalya in Turchia, il film richiama nello stile, un Tanović delle origini, con il suo linguaggio poetico, scanzonato e allo stesso tempo disilluso, cinico e ineluttabile. Nuovamente ambientato in Bosnia, il sessantenne Divko Buntic fa ritorno nel suo paese di origine, dopo vent’anni in Germania, ricco e con una nuova giovane moglie. Con l’appoggio del fronte nazionale che Divko ha sempre finanziato anche nei suoi anni di lontananza pretende e ottiene il suo vecchio appartamento, riscendo a sfrattare l’ex moglie e il figlio cresciuto senza di lui.
Un ritorno quindi all’amata patria tratteggiando un’altra storia, questa volta, nel periodo che di poco precede lo scoppio del conflitto. Un film poetico e surreale che, a differenza di No man’s land, concede ai protagonisti un’apertura, una fuga verso qualcosa di nuovo, una speranza.
Il ricredersi di Divko e ritrovare il suo antico amore insieme al sentimento che lega Martin e Azra, concedono metaforicamente nuova linfa vitale ad un paese consumato dalla morte e dalle ingiustizie.

An Episode in the Life of an Iron Picker (2013)
All’interno di un contesto rom, la storia straziante di una famiglia in cui la moglie si sente male e si scopre che ha avuto un aborto ma, scaduta la copertura assicurativa, non ci sono i soldi per il raschiamento e la donna rischia così un’infezione e quindi la vita. Il marito farà di tutto per procurarsi il denaro aiutato dalla propria comunità.
Una sorta di docu-fiction che denuncia la situazione sanitaria nella Bosnia Erzegovina post-bellica con immagini sgranate, con pochi dialoghi con cui fa toccare con mano la condizione disperante dei protagonisti. Il film ha vinto il Gran Premio della Giuria al festival di Berlino e Orso d’argento per il migliore interprete protagonista Nazif Mujić.

Tigers (2014) tratto da una storia vera ambientata in Pakistan, descrive il percorso di un rappresentante di una multinazionale dell’industria alimentare che, dopo aver compreso le implicazioni di quest’ultima nelle morti di diversi neonati, inizia la sua battaglia che lo porterà a stare lontano dalla sua famiglia per sette lunghi anni. Il film ha avuto un percorso produttivo tortuoso, lungo otto anni, a causa delle possibili implicazioni legali dovute al tema trattato. Presentato al festival di Toronto, questo film di denuncia si presenta, nello stile come molto diverso dai precedenti: infatti richiama il cinema del reale con il protagonista che racconta la sua storia allo staff di una emittente giornalistica americana.

Death in Sarajevo (2016)
All’Hotel Europa a Sarajevo il personale si sta preparando per la celebrazione del centenario dell’assassinio dell’Arciduca Ferdinando da parte di Gavrilo Princip. In realtà anche se è un hotel di lusso, le condizioni economiche non sono delle migliori e da due mesi i dipendenti non vengono pagati. L’imminente evento può quindi costituire anche l’opportunità per il personale di scioperare e manifestare quindi la loro condizione anche se vengono fortemente contrastati e intimiditi dalla direzione. Il film ispirato a un’opera di Bernard-Henri Lévy, e totalmente girato all’interno di un hotel di lusso, simboleggia la situazione di un Paese come la Bosnia Erzegovina che rimane in un equilibrio precario e che ha tanto atteso una ripresa che non si è mai verificata. Il film, Gran premio della giuria a Berlino 2016, ha uno stile e un impianto narrativo che, pur rimanendo sul tema della sua patria così caro al regista, sfrutta un linguaggio più serio quasi serioso che sfortunatamente in termini di risultato lo colloca molto distante da No Man’s Land e Cirkus Colombia.

In concorso: i premiati

Sentinelle Sud di Mathieu Gérault (2021)
Un soldato, Christian Lafayette rimpatria in Francia dopo che la sua unità, in Missione in Afghanistan, è stata sterminata in un’imboscata. Mounir, amico fedele, che in missione con lui è rimasto menomato, ha un grosso debito di droga legato ad una partita di oppio scomparsa. Nel tentativo di riprendere una vita normale e di aiutare Mounir, Christian compie una serie di azioni illegali. Gradualmente però inizierà anche a trovare e a mettere insieme una serie di indizi che lo porteranno a scoprire la verità sull’agguato.
Un film che ha vinto la Mostra Concorso e che parla della fratellanza e del bisogno di amare di chi trova nell’esercito una famiglia e uno scopo di vita e che tornato alla vita civile si trova ad affrontare una normalità impossibile con troppi traumi da elaborare. Ci si trova a rispondere a diverse domande: chi sono i padri? Qual è la propria vera famiglia? In questo senso, più che un film noir, lo si potrebbe definire un Coming of Age tardivo, in cui il protagonista ricerca e trova una definizione di sé dopo l’arruolamento come tentativo di colmare un proprio vuoto identitario e affettivo.

Blue Moon di Alina Grigore (2021)
Irina vorrebbe continuare gli studi e andare nella capitale a Bucarest a fare l’università ma la famiglia allargata, zii e cugini, le fanno pesare il bisogno del suo aiuto nella gestione dell’attività di famiglia chiedendole di rimandare. Un contesto disfunzionale in cui subisce maltrattamenti fisici e psicologici carico di lasciti in elaborati che continuano a tornare senza poter mai essere veramente affrontati. Le cose iniziano a cambiare quando Irina conosce ad una festa un uomo più grande e sposato con cui trascorre la notte. Il potersi confrontare con lui le permetterà di acquisire nuove consapevolezze e trovare le risorse dentro di sé per trovare una via di uscita e vendicarsi dei suoi aggressori.
Il film che ha vinto il Premio per la Migliore Regia è molto abile nel descrivere una condizione di passività attraverso non solo i dialoghi ma soprattutto le immagini. Una passività non di certo cercata ma acquisita all’interno di dinamiche coercitive e ricattatorie più o meno sottili. Questo atteggiamento lo si ritrova nei primi piani di uno sguardo che sembra assente e non conscio della gravità e della sofferenza e che gradualmente trova spessore.

di Dietrich Brüggermann (2021)
Il film racconta la storia d’amore di Dina e Michael in tredici episodi dal momento dell’innamoramento al suo invitabile declino. Nonostante entrambi cerchino di salvaguardare la loro unione ad un certo punto Michael decide di interrompere la relazione seguito dalla non accettazione di Dina che replica con un categorico “no- (Nö)”
Questo lungometraggio ad episodi che ha vinto il secondo premio al Bergamo film meeting
si concentra sulla difficoltà nella società attuale, in cui regna la libertà di poter avere tutto e decidere su tutto, di mantenere un legame stabile e duraturo

Oltre ai premiati si segnalano altri due film:

The seed di Mia Maariel Meyer (2021)

Reiner lavora molto duramente in un cantiere edile nella speranza di essere confermato come capo cantiere e migliorare così la condizione economica della sua famiglia. La moglie è incinta del secondo figlio e si sono appena trasferiti in una casa più grande che deve essere ristrutturata. In realtà i forti interessi economici portano il suo datore di lavoro ad assumere un nuovo capo cantiere senza scrupoli che fa retrocedere di ruolo Reiner e sfrutta al massimo i suoi sottoposti.
Nel mentre la figlia di tredici anni stringe amicizia con la figlia dei vicini che si rivelerà molto pericolosa.
Il film è un claustrofobico dramma sociale che si concentra sulla figura di Reiner, costretto per sopravvivere a sopportare una serie di soprusi sempre maggiori. L’intento è quello di denunciare una società votata solo al profitto e alla performance e che rischia di perdere di vista l’umano e segnare un punto di non ritorno per le relazioni affettive e la famiglia.

The Radio Amator di Iker Elorrieta (2021)
Nikolas, un trentenne affetto da autismo, decide di tornare nella sua città natale, dopo la morte della madre. Con pochi spiccioli in tasca ha l’obiettivo di raggiungere il mare aperto in due giorni-e l’unica che cercherà di aiutarlo sarà Ane, una sua amica di infanzia. Al porto, il padre di un amico di Ane, decide di dargli fiducia e si accorda per fargli riverniciare una barca molto rovinata, in cambio avrà un passaggio per la sua destinazione. Nikolas cerca disperatamente una sua emancipazione ma la sua condizione psicologica pone una barriera tra sé e gli altri. Un film coraggioso che descrive da un lato una condizione esistenziale difficile e dall’altra l’ipocrisia delle persone che non riescono ad uscire dai propri schemi e andare incontro alla diversità senza schernirla o evitarla. Come lo stesso regista ha dichiarato: “Il titolo stesso del film, The Radio Amateur, suggerisce qualcuno rinchiuso in una stanza circondato da dispositivi a radiofrequenza usati come mezzi per comunicare con l’esterno”.

 

Giancarlo Zappoli